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domenica 9 gennaio 2011

Il Portico d'Ottavia a Roma

A ridosso del Teatro Marcello a Roma sorge un'area dal fascino millenario. Si tratta del Portico d'Ottavia, il più antico quadriportico di Roma fatto costruire nel Campo Marzio meridionale  da Augusto tra il 27 e il 23 a.C., a nome della sorella Ottavia. Del monumento, danneggiato da un incendio e ricostruito nel 203 da Settimio Severo, oggi sono visibili solo alcune colonne e la facciata della Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, da cui deriva il nome del mercato del pesce che si teneva nella zona.
Il Portico si apriva sull’antico Circo Flaminio (un ampio spazio in cui si svolgevano manifestazioni pubbliche), di cui è ancora visibile un tratto della pavimentazione. Intorno  al Portico di Ottavia si concentrarono nei secoli le abitazioni della comunità ebraica successivamente (1555) delimitata a costituire il Ghetto di Roma.
Fin dal Medioevo nella zona del Portico di Ottavia, limitrofa alla Chiesa di Sant’Angelo (che infatti ben presto ebbe l’appellativo “In Pescheria”), si teneva il più grande mercato del pesce. La vendita era favorita dalla felice posizione topografica dell’area, vicina al Tevere e dalla possibilità di sfruttare ampie zone coperte. Le lastre di marmo recuperate dal monumento romano venivano utilizzate per l’esposizione dei pesci. Il mercato, già ridimensionato a seguito dei lavori di ripristino della Chiesa (seconda metà dell’800) che comportarono lo scavo di parte della struttura romana fu trasferito nel 1876 in una struttura appositamente costruita in via di S. Teodoro.
Al mercato del pesce si legava  un certo tipo di folclore: il pesce arrivava con le barche nella notte e all’alba si svolgeva il cottio, cioè l’asta per l’assegnazione dei vari quantitativi. La vendita avveniva sulle grandi tavole di marmo che erano collocate nei resti del portico d’Ottavia e che risultavano di proprietà di importanti famiglie le quali, dalla loro prerogativa, ritraevano un notevole guadagno.
Nell’ambito del commercio del pesce, i Conservatori del popolo di Roma godevano di un privilegio particolare: avevano diritto alle teste, la parte ritenuta più pregiata, dei pesci più grandi (“più lunghi di cinque palmi e fino alle prime pinne”). Questa prerogativa attestata dal Medioevo fino alla fine del 700 è testimoniata da una iscrizione ancora visibile presso l’angolo orientale della facciata. Anche altre lastre con incisa la misura di confronto del pesce, generalmente uno storione, sono state nel tempo apposte sui muri del Portico.
Nell’ambito del complesso monumentale sono stati ritrovati i resti di una bottega in cui erano presenti in gran quantità gusci di telline e ostriche a testimonianza dell’esistenza del commercio del pesce sin dall’epoca Alto Medievale  




mercoledì 15 dicembre 2010

Momenti gustosi a Ferrara

A parte i monumenti, la nostra permanenza in città è stata caratterizzata da tanti momenti gustosi. Al centro ci si può fermare in una delle numerose pasticcerie per assaggiare i tipici pampepati ricoperti di cioccolato, i celebri pasticci di maccheroni di pasta frolla nella versione dolce o salata e naturalmente il pane locale. La prima cosa che faccio quando approdo in una città che non conosco è quella di provare subito il pane. Credo, infatti, che questo sia l’elemento principale che ti fa capire tante cose del posto e della gente che lo abita.

 Così, entrata in un panificio del centro, ho acquistato la coppia ferrarese, con i suoi quattro cornetti e un corpo morbido ti lascia un ricordo davvero piacevole. Questo pane ha origini antiche, addirittura lo si fa risalire a Cristoforo da Messisbugo, famoso scalco degli Estensi, ed è un prodotto Igp con disciplinare di produzione. Ne esistono infinite varianti: con l'olio, con lo strutto, più morbidi, più biscottati.
All’ora di pranzo, non vi dico che fame che avevamo e così ci siamo lasciati guidare dall’istinto fino ad una osteria: Al Brindisi.
Senza saperlo, siamo entrati in una delle osterie più antiche della città. In origine si chiamava Hostaria del Chiuchiolino da “Ciuc” ubriaco e la prima documentazione scritta che ne documenta l’esistenza risale al 1435. E’ stata frequentata da tanti personaggi illustri: Benvenuto Cellini, Tiziano Vecellio, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso.

In questa osteria i clienti si recavano in barca, trovandosi il luogo in una piccola insenatura o “gorgo” creato dallo scolo dell’acqua piovana. Ad accoglierci c’era il titolare, un personaggio davvero singolare che anziché leggervi i menu vi snocciola per ogni portata la storia del piatto. Eccezionale davvero.
E’ stato qui che abbiamo scoperto alcuni dei più famosi piatti tipici del posto a cominciare dal timballo di maccheroni in crosta, un piatto dove dolce e salato si fondono in un tutt'uno dal sapore inimitabile

 

La cucina al tempo degli Estensi


La visita al Castello Estense ha svelato numerose delle mie curiosità a proposita delle cucine del tempo. In questo palazzo, in diverse epoche, sono convenuti ospiti da tutta Europa in occasione di matrimoni reali, feste e trattati politici ed era proprio in quelle occasioni che le cucine si riempivano di prelibatezze di ogni tipo, secondo il gusto dell'epoca. All'intero del castello è possibile visitare due ambienti dove erano ubicate le cucine. Nella seconda di queste sale sonos tati ricostruiti anche i forni.
La grande sala delle cucine venne costruita nel cinquecento per volontà del duca Alfonso I. Per gli scoli degli antichi acquai, utilizzavano un tipo di pavimentazione piuttosto originale. Un grosso camino, collocato sul lato nord della sala disponeva di due finestrelle che servivano da presa d’aria. L’attività doveva essere febbrile in queste cucine , specie quando- e succedeva assai di frequente- si preparavano i leggendari banchetti della corte, con un numero strabiliante di portate servite nell’avvicendarsi di rappresentazioni sceniche e di intrattenimenti musicali. Per questo, i grandi scalchi - abilissimi cuochi  e cerimonieri- erano tenuti in grande considerazione nelle corti di tutta Europa. Primo fra tutti, Cristoforo di Messisbugo, geniale regista di fastosi ricevimenti e scenografo di banchetti che concepiva come: una festa magnifica, tutta ombra, sogno, chimera, finzione, metafora e allegoria.
La visita al castello è terminata sulla Torre dei Leoni da dove abbiamo potuto ammirare il panorama della città dall’alto.

Ferrara: città misteriosa

Ferrara è una città affascinante e unica al mondo. Passeggiando per le sue strade si entra in un'atmosfera suggestiva e coinvolgente. Le sue vie eleganti, i suoi monumenti, le prospettive la rendono davvero speciale.
Cari amici, sono rientrata a Roma lunedì dopo alcuni giorni passati in giro per alcune città dell’Emilia Romagna che mi hanno affascinato enormemente.
Eravamo saliti in camper con l’intenzione di partire alla volta dei mercatini di Natale organizzati in varie città del Trentino, ma come ogni volta a metà itinerario abbiamo cambiato meta. E così ci siamo fermati prima a Ferrara. Avevo sempre immaginato questa città come una meta affascinante che valesse la pena visitare, ma non avrei mai pensato che potesse piacermi così tanto. Siamo arrivati di sera, abbiamo parcheggiato il camper a pochi passi dalle mura di Ferrara e siamo arrivati al centro, dove avevano allestito i mercatini di Natale.

Non vi dico che bella atmosfera: un albero grandissimo tutto illuminato ci ha accolto in piazza e da li in poi era tutto un lungo percorso di bancarelle, di profumi irresistibili, almeno per chi ama il clima natalizio. Siamo arrivati fino al Castello Estense e devo dire che sono rimasta a bocca aperta. Con il colore rosso dei mattoni antichi e il caratteristico fossato che lo circonda, testimonia il vecchio legame di Ferrara con l’acqua ed è davvero affascinante.
Dopo la meravigliosa passeggiata siamo rientrati in camper con l’intento la mattina seguente di visitare la città in ogni suo angolo. E così è stato.


Naturalmente una delle prime tappe è stata proprio la visita al castello, che con le prigioni di Ugo e Parisina e di Giulio e Ferrante, il giardino pensile e le grandi sale affrescate, ti trascina direttamente in un mondo di storie e leggende legate ai membri della famiglia estense.
Mi sono però veramente illuminata quando sono arrivata alle stanze del castello che un tempo erano le antiche cucine. Qui ho trovato tante notizie curiose: un cartello parlava ad esempio dei banchetti nel Cinquecento.


Il banchetto rinascimentale era considerato come una vera e propria forma d’arte che a suo modo ha fatto la storia. E’ l’epoca infatti in cui: uno scalco veniva creato conte palatino dall’imperatore, un pittore importante accettava di essere pagato per scegliere delle stoviglie, un cesellatore di coppe godeva dello stesso rispetto di un maestro pittore, il cuoco competeva con l’artista del cesello trasformando la materia alimentare in materia da trasformare.
Leonardo Da Vinci ebbe l’incarico dall’imperatore di sovrintendere alla mensa di Ludovico il Moro; Tiziano Vecellio viaggiò all’estero per scegliere il vasellame per la mensa degli Estensi.
Nel Libro de Cozina del napoletano Roberto Da Nola- scritto in catalano nel 1503 e tradotto in altre lingue perché considerato esemplare per l’istruzione degli addetti alla tavola dei più importanti principi europei- si trovano per la prima volta definiti i ruoli fondamentali delle figure principali del banchetto: il cuoco, il dispensiere, il trinciante.
A quel tempo Cristoforo di Messisbugo confezionava banchetti come spettacolo-opera d’arte. Non esisteva luogo nel mondo occidentale cinquecentesco in cui la qualità e la bellezza dei cibi fossero di pari spettacolarità.
In questo senso, Ferrara era considerata la prima città moderna d’Europa: sullo stesso piano e nel medesimo contesto poneva la sublime raffinatezza dei cibi, della loro preparazione e del loro aspetto e dei ritmi del servizio di essi, con l’arte altissima dell’Ariosto, i piaceri sottili della musica.

lunedì 22 novembre 2010

Tra storia e leggenda: la cucina della Sicilia

Il verde della costa, il giallo dell'entroterra, l'azzurro del mare e il nero della lava e dell'ossidiana: sono questi i colori che ritroverete nella cucina siciliana quando avrete la fortuna di venire a contatto con essa. Chiunque di voi sia stato in Sicilia sa bene che l'incontro con il cibo di questa terra rimane impresso nella memoria di chi vi viene in contatto. Pagine di storia scorrono sulle tavole di questa splendida isola.

Uno scorcio di Sicilia

Una storia antica di oltre tremila anni che sbarca sulle coste di questa terra selvaggia, fertile e soleggiata. Una  storia che parla le lingue delle tante genti giunte qui, ciascuna sfuggita a guerre e naufragi, portate qui dalla sete di conoscenze e dai commerci. In Sicilia persino i piatti più semplici come il pane e olio hanno una loro storia.Sarà per questo che ancor oggi il pane riveste una funzione sacra, assolvendo a precisi rituali mai scalfiti dal tempo.Che dire poi della cucina di strada, una tradizione che risale ai tempi dell'antica Grecia, quando si mangiava per strada nel thermopolion. Passeggiando per i banchi i viandanti venivano sedotti dai profumi del cibo cotto, da piluccare sul posto. Per lo più si trattava di verdure bollite, interiora bollite o arrostite sulla brace, pesci fritti. Questo è quello che accade ancor oggi tra i voli e gli animati mercati di Palermo.

Pasta con le sarde

Un ruolo di primo piano nella cucina siciliana gioca naturalmente la pasta in tutte le sue infinite varianti. Fu intorno al 900 che a Trabia, vicino Palermo, fu impiantato il primo stabilimento per la produzione di ytria, lo spaghetto in arabo, da cui deriva pure il nome del paese. Di pasta si nutrirono tutti i siciliani: nobili e plebei, ricchi e poveri. Pare che dobbiamo al cuoco di un generale arabo, Eufemio, l'invenzione di quello che è uno dei più conosciuti piatti siciliani: la pasta con le sarde.
Nelle intenzioni di quell'uomo si trattata di sfamare le truppe, attestate attorno a Siracusa, con un piatto unico e sostanzioso. I finocchietti selvatici servivano a smorzare il tanfo delle sarde non proprio fresche, e contro l'intossicazione alimentare ci misero i pinoli conosciuti allora come antidoto.
Cassata siciliana
Nel periodo più dolce della sua storia, la Sicilia conobbe lo zucchero di canna, questo impastato con la ricotta di pecora fu la base della famosa cassata siciliana, il cui nome deriva da un malinteso: quas'at si chiamava il pentolino di rame dove si impastava la ricotta e non certamente il contenuto. Visto che parliamo di dolci, il grande sviluppo della pasticceria siciliana si ebbe intorno all'anno Mille. Parlando di dolci mi viene in mente soprattutto la frutta martorana, il cui nome è legato alle suore della Chiesa palermitana  di Santa Maria dell'Ammiraglio, le quali producevano questi frutti per le nobili signore dell'Ordine di San benedetto, voluta dalla nobildonna Elsa Martorana.

Frutta Martorana
La leggenda vuole che un cardinale avesse deciso di visitare quel convento per ammirarne lo splendido giardino. Ma era pieno inverno e gli alberi erano spogli. Quelle pie donne pensarono bene di confezionare con una pasta di farina di mandorle e zucchero dei piccoli frutti colorati, in tutto e per tutto uguali agli originali.e addobbarono con quelli i rami degli alberi spogli.