venerdì 12 novembre 2010

Viaggio tra i sapori veneti


Dalle lagune adriatiche alle vette delle Dolomiti, dal Lago di Garda ai colli Iberici e Euganei: il Veneto non solo  riserva paesaggi variegati, diversi tra la fascia alta, disegnata dai vigneti e fitta di abitati a quella bassa che si estende tra seminativi e pioppi verso il delta del Po, ma garantisce agli amanti della buona cucina una diversità di sapori davvero eccezionale.
La  palma della nobiltà spetta alla  Serenissima. Anche in tavola Venezia è un universo di fascinose tradizioni e straordinaria ricchezza di apporti, da scoprire analogamente a come si scoprono gli scorci di calli e campielli, le altane e i comignoli sui tetti, i capolavori del Tintoretto o del Bellini, nascosti nelle chiese. Il piatto simbolo della cucina veneziana sono le Sarde in saòr, piatto che svela le marcate influenze ebraiche.
Vi assicuro che gli odori e i colori del mercati di Rialto sono una vera sorpresa. Qui si può trovare il pesce fresco, sotto una loggia affacciata dal Canal Grande; della frutta e della verdura poco distante dal Ponte. Il viaggio prosegue per ombre e cicheti, ovvero per calici di vino e stuzzichini: seppioline e gamberetti di laguna, polentine, acciughette, baccalà. Dalle piccole cucine delle osterie  che a Venezia si chiamano bàcari si passa alla grande atmosfera dei locali storici : Il Florian, il Lavena e il Quadri, il Cipriani.
I piatti della tradizione, talvolta conditi con spezie e odori che richiamano alla mente l’Oriente, vanno dal pesce in saòr, macerato in aceto con cipolle, al baccalà mantecato, moleche, piccoli granchi senza carapace passati in pastella e fritti; riso in cavroman, a base di carne di castrato rosolata e aromatizzata con chiodi di garofano e cannella; risi e bisi, fegato alla veneziana.
Quanto ai vegetali, dagli orti di Murano e Sant’Erasmo  e dalle altre isole della laguna vengono verdure di eccezionale qualità, capofila il carciofo violetto  di Sant’Erasmo; ma anche buona frutta, pere, pesche, giuggiole e susine.
Da Venezia ci spostiamo a Chioggia, vivo porto di mare con un ambiente pittoresco di viuzze e canali ingombri di barche attorno al lago asse di corso del Popolo. Questi luoghi hanno carattere e suggestioni propri. Una caratteristica che come notò il critico d’arte Cesare Brandi rende Chioggia “mezza di terra e mezza di acqua” sono i portici, un elemento che si ritrova non solo lungo le piazze, ma anche per ampi tratti della riva Vena e sporgenti di tanto in tanto nelle calli. Quest’ultime, non sono delle semplici vie ma degli spazi in cui si vive e si lavora. Sistemate con un disegno mirabile in due serie parallele che si intersecano perpendicolarmente sulla doppia via di terra (piazza) e d’acqua (il canal di vena) con una pianta che richiama la spina di pesce, sono in tutto 74.
Il paesaggio peschereccio è completato dalle isole dei Cantieri, gli “squeri”, che vantano una tradizione di cultura materiale che affonda nel periodo medievale. Il loro statuto, la Mariegola di san Giuliano, risale al 1211 e si configura come uno dei primi esempi in Europa di società che percorse il mutuo soccorso.
Il polso della sua vocazione marinara e peschereccia, e anche della sua tavola, lo dà il vecchio mercato del pesce lungo il canale della Vena: oltre al comune pescato, si trovano branzini, cefali, anguille delle valli da pesca venete, “moleche”, schie (gamberi grigi) della laguna di Venezia. Pochi passi al di là del canale stanno le bancarelle con i prodotti della campagna, perché a Chioggia come a Venezia economia e gastronomia sono in felice equilibrio tra l’orto e il mare: ecco allora il radicchio rosso di Chioggia e la zucca marina, la “suca baruca” cucinata al forno e un tempo venduta per strada, e poi barbabietole rosse e carote, cicorie e cipolle bianche, patate e sedani verdi. Dopo il mercato e un eventuale cicheto in osteria, la pura tradizione chioggiotta propone il risotto con i go, i ghiozzi di laguna, o le “biberasse in cassopippa” (le vongole nel coccio stufate). Sorprende anche la tradizione di pasticceria, povera, da forno ma varia: biscotti secchi detti pevarin, scuri per il cioccolato e il pepe nero messi nell’impasto; la torta ciosota, nel cui impasto entrano radicchio rosso, carote, nocciole e mandorle.

Il nostro itinerario si conclude a Vicenza, una cittadina davvero elegante e nello stesso tempo molto semplice, dove il principale mezzo di trasporto rimane la bicicletta.. La pianura vicentina converge con le sue ricchezze gastronomiche nel capoluogo, all’ombra delle architetture olimpiche del Palladio. Patrimonio per l’umanità dell’Unesco, la città del Palladio richiede una visita per certi versi obbligata intorno all’asse di corso Palladio, punteggiato di nobili palazzi.  In città  si va per trattorie a degustare i piatti della tradizione. La gastronomia vicentina è ricca di prodotti caseari e di salumeria: a cominciare dal formaggio Asiago Dop proveniente dagli altipiani, alla soppressa vicentina dell’alta Val Leogra. Dalla fascia di colline prealpine e dall’alta pianura del Bacchiglione e del Brenta i vini: spumante Lessini-Durello, Recioto di Gambellara, Torcolato di Breganze e gli ortaggi, come il broccolo fiolaro di Creazzo appena a ovest di Vicenza. La bassa pianura irrigua produce seminativi e ha la sua bandiera nel riso di Grumolo delle Abbadesse, Vialone Nano e Carnaroli, coltivato fin dal Cinquecento. A sud di Vicenza, i Colli Iberici danno un vino Doc leggero e un prosciutto delicato e dolce, che ha il suo centro a Montagnana, nel padovano.

Origini nordiche e molti entusiasti sostenitori ha il baccalà alla vicentina, servito con polenta fresca o abbrustolita. Vicentini anche i “bigoi co ‘l’arna”, grossi spaghetti al torchio al sugo d’anatra, mentre ottime varianti di piatti più generalmente veneti sono i risi e bisi e la polenta e osei. Prodotto tipico assai rinomato è la mostarda vicentina, conserva di polpa di mela cotogna e zucchero, cotta con aggiunta di senape e qualche frutta candita, dal gusto dolce e piccante che si sposa bene alle carni ma anche ad alcuni formaggi. 

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